Un'auto chiusa in garage, una reliquia, non più un mezzo col quale spostarsi ma un simbolo di un tempo e di un sogno dorati che non torneranno più. Thao, il ragazzo hmong che alla fine la erediterà, tornerà a guidarla ma non per andare a conquistare il sogno promesso bensì per assaporare ciò che di buono, nonostante i pregiudizi, l'ignoranza, l'ottusità e l'ingenuità, coloro che sono vissuti prima di lui hanno saputo donare a chi è venuto dopo.
Clint Eastwood parla del lascito di una generazione che sa di aver commesso degli errori, che fa fatica a riconoscerlo e che tuttavia vuole lasciare in eredità il sogno nel quale credeva, quello di poter decidere il proprio destino, di essere quindi uomini liberi. Le nuove generazioni pare abbiano proprio questo problema, di non avere una direzione, di dimenarsi in una sorta di scatola chiusa, dalla quale non riescono ad intravedere una via d'uscita. C'è chi sostiene che coloro che sono venuti prima fossero così rapiti dal proprio stesso viaggio da non aver saputo condividerlo o peggio dal non aver creduto degni di esso coloro che sono venuti dopo. La parabola descritta nel film sembra proprio quella di una presa di coscienza. Dopo una vita di certezze, l'anziano si rende conto non della debolezza dei propri ideali, nei quali invece non ha mai smesso di credere, ma della forza inespressa del giovane, quella che non aveva mai visto o voluto vedere e che volente o nolente sarà quella che trainerà il futuro. Quel sogno è troppo bello per essere abbandonato, deve essere affidato, la sfida deve essere raccolta da qualcun altro. Serve fiducia.
Clint Eastwood esorta a vedere il buono che c'è nelle cose, nonostante le paure, nonostante il pessimismo. E' il cartello stradale che indica la direzione da seguire sulla pista che conduce al domani.
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