il pur riuscito colpo di scena finale.
Lui è vittima di ansie e antiche diffidenze, un solitario, un disadattato, una condanna alla quale si arrende con amaro e compiaciuto risentimento. L'unica sua amicizia è, come lui, appassionato d'arte e lo aiuta nella sua ricerca di ritratti femminili che colleziona, nel disperato tentativo di trovare la donna dei suoi sogni, colei che potrebbe donargli la libertà.
L'automa in pezzi che scopre nella grande villa in vendita è il tramite per aprirsi con un'altra persona, colui che lo ripara. O almeno così sembra. Non si rende conto che egli stesso è come l'automa, qualcuno che viene montato parte per parte e infine manovrato, un manichino preposto a fare sempre gli stessi movimenti, prevedibile, noioso.
Lei rappresenta tutto ciò che cerca: una silfide, incapace di avere rapporti con gli altri, una creatura leggiadra e schiva, che lo conquista, per amore o per curiosità, il ritratto che mancava, colei che può restituirgli la serenità, l'equilibrio e la gioia di vivere.
La rivoluzione al quale lei lo conduce è definitiva, senza ritorno. Anche quando tutto, alla fine, crolla, non c'è modo di riprendere la precedente vita, si può solo proseguire in un'unica direzione. Una condanna anche questa, dunque ma più dolce e struggente. O forse è proprio quella libertà che lei, nonostante gli abbia portato via tutto il resto, infine gli dona.
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